martedì 19 febbraio 2013

 Elegia XII

 
Tra i miei seni la morte ha passato la notte.

Però tra me e te (si dice)
esisterà sempre un’Europa o un Mar Rosso.
La lingua in cui penso io la parola morte
non è anche la lingua in cui pensi tu la parola amore.
Ciò che oggi ci divide (si dice)
ci dividerà ancora di più domani.
Ecco perché, con tutta l’oscurità del nostro passato
che srotoliamo adesso come
una pergamena dell’antico Egitto,
ti chiedo di fuggire nell’abisso che ci è dato.
Lì, le lentigini e i tuoi capelli rossi
capiranno di sicuro e ameranno
la lingua dei miei seni

tra cui passerà la notte anche allora la morte.

martedì 12 febbraio 2013

 alessandria
(il canto del poeta)

ho sognato stanotte nella città di alessandria
i greci di periferia degna stirpe degli antichi greci
mi erano datori di riconoscenza e molte dracme
i greci tutti per me avrebbe attraversato il mediterraneo


mi sono sognato in un palazzo bianco e in rovina – cieco ad un tavolo
in un caffe nel quale sono invecchiati senza riuscire a sapere
e i cani del panettiere e l’orgoglio di konstantinos p kavafis (poeta di fama)
e tutto ciò che può ancora invecchiare in una grande città
come alessandria in un palazzo bianco e in rovina

il proprietario

di un milione di piccolle chiavi arrugginite

i capelli me li accarezzavi tra le lacrime
con i miei occhi azzurri hai iniziato a giocarci
senza fretta e senza troppa crudeltà
di notte di notte nella citta di alessandria



l’amministratore spiega in cosa consta di fatto la sua vita
(resoconto assolutamente onesto)
 
trasportare un vecchio armadio dal salone al ballatoio
perché mi assilla ultimamente
così tanto – solo avevo previsto tutto
fino ai minimi dettagli

“fino al limite oltre il quale non si può passare”

il cervello e il pruneto in fondo al giardino
seta  verde e colpisce il porco dritto sulla zucca!
il lago e l’affollarsi di fantasie oscure: animalesche amore mio

perché di freddo di fame e anche di proiettile
non si muore più – comunque trasportare
un armadio dal salone al ballatoio
e la soglia smussata il sorriso sul punto di rapprendersi
e il piede tira via il piede e accogli gli dei

ho previsto tutto fino ai minimi dettagli
trasportare un vecchio armadio dal salone al ballatoio
la mia vita

darò fuoco ai miei vestiti di nuovo cambierò identità
quanto onore e quanta gloria – ho previsto tutto
“che riposi in pace dio lo faccia riposare in pace
magari avremo anche noi dopo di lui qualcosa da guadagnare”



opinioni in merito a guillaume

cantano i galli. l’alba si avvicina. umile
guillaume tornerà nel grembo di sua madre.
guillaume tra i fiori selvatici. una piccola riverenza
e una manciata di caramelle per guillaume. una bicicletta.


ci aveva avvertito da molto: si avvicina l’alba viene l’alba.
stava sull’attenti con la mano fissata al berretto. il nostro
subalterno guillaume. il bambimo guillaume. questa bestia
senza scrupoli. e ora vola con le nostre ali. con
la nostra bicicletta.



l’amministratore può mettersi nei guai in ogni momento

al diavolo amministratore sono io la realtà proprio la realtà palpabile
manifestazione dell’idea nel sensibile (hegel lezioni fenomenologia)
                           sono quella con le orecchie piccole
                           con leprotti e marmote di plastilina
                           sono quella con le parole più dolci

e se m’innervosisco e passo sul marciapiede di fronte dicendoti
per prima cosa: amministratore non voglio più stare con te
tu che fai? i coniglietti si sciolgono le marmotte fuggono lontano
nel loro paese dove parole dolci non ne senti più
orecchie piccole in cui strillare non ne trovi più

perciò al diavolo amministratore io sono la realtà palpabile
                           sono quella con le orecchie piccole
                           con leprotti e marmote di plastilina
                           sono quella con le parole più dolci



guillaume ha incontrato margareta

da uomo realmente solitario – così come lo rendevano
quasi tutti gli avvenimenti della sua esistenza fino a ieri
guillaume ha iniziato pian pianino a fiorire: ha incontrato margareta

baciando perdutamente i talloni di margareta
quando spoglia margareta sembra levare la pelle al mondo
poi la sua battaglia con l’angelo elie
la grotta e la gola
e il ferro da stiro con cui stira lui la gonna azzurra di margareta

“impara da me ora a guardare
al di là dell’alto recinto il bosco avvizzito – ininterrottamente”




***

non guardarmi quando nudo dalla testa ai piedi
faccio il bagno. non vedrai altro che delle braccia lunghe – stremate
dal lavoro. un’unghia nera . e questa cicatrice rossa
che mi solca il petto. perché non vedrai nulla.


tu guardami quando nudo ai raggi della luna
suono il violino per te. allora vedrai due serpenti involgersi
intorno a te. una stella nera nera. e il frutto rosso
che mi preme la fronte. perché non vedrai nulla
 
fiori azzurri

non una carezza e fiori azzurri e non una parola. la mano crederà di sognare. la lingua dorme da nove anni tra le acque. fiori azzurri si spaventosi fiori azzurri e soprattutto non una parola: coltello accanto a coltello


preghiera all’incrocio delle strade

il mio sogno corre nella notte luminosa tra i sogni di questi uomini cattivi e buoni del villaggio seppellito nella luna. si ferma all’angolo della strada che porta ai campi. impara a difendersi da cani e passato e nelle acque del lago
canta con i pesci addormentati.
o se il mio sogno toccasse il sogno del vicino almeno la porta di casa sua almeno la bruma che si allontana dalla sua lampada  


prefazione

e dopo aver inventato la poesia in una camera clandestina nella profondità delle terre sterili – il coraggio e la forza (umana) si sono sciolti come vapore.

e qualcos’altro oltre al fatto che sono nato e che ho vissuto e che probabilmente morirò sussultando (cosa che d’altra parte ho voluto dire due anni fa e tre anni fa) per adesso, ahimè, non posso dire

perciò ritorno alla vecchia lingua: a cominciare proprio da questo istante. la attorciglio la accarezzo la colpisco con violenza. però i sintagmi strani in cui (si dice) riposa la mia anima come dentro una tana perduta non mi attraggono più. le dita sottili che scaveranno canali nei boschi e torneranno sempre lì e andranno pian piano in putrefazione? le dita sottili non mi turbano più 


shatov

hanno il loro mondo e il loro mondo mi dà la nausea
e anche con una lattina vuota di conserva in bocca sono pronto a urlare
e anche con una bomba nel midollo della colonna vertebrale sono pronto a urlare
che hanno il loro mondo e che il loro mondo mi dà la nausea

venerdì 8 febbraio 2013

londra parigi new york

          Una luce assassina s’infrange di fronte alla porta oltre la quale siamo
e la nostra vita prende forme inaspettate.
Bolle d’aria, licheni (metà alga, metà fungo)
                 s’incollano alla pelle sotto forma di quanti anni abbiamo
e si dividono di nuovo realmente dalle cellule cancerogene.

Viene la notte, per bambini e cercatori di vene
                     per donne e bambini.
Il cervello di oro, i polmoni di zolfo
rallentano. Il neon bianco, lattiginoso scorre su palazzi e orbite.
                 La follia
e la felicità del perire – un disegno in un WC, un’auto importata.
La maturità e la vita, vale a dire
molto più sudore e molti più preservativi.
La rete fitta di nervi
precipitata sulla città, sempre più sottile.

Sul mio pacco di sigarette c’è scritto londra parigi new york
ma nel mio cuore c’è scritto romania
una lanugine storica a coprire le statue
un testamento che di colpo ti fa
                  padrone dei tesori del mondo
una maschera antigas solo e soltanto per me

(ma non è niente
quando invecchierò mi libererò
e fino ad allora non è poi molto)

il corpo è pesante ed aspro come una mano di sale
da dove questo film di donna
di adolescente in ritardo e morboso?
le sigarette costose danno il rispetto per se stessi
il pensiero che posso cambiare la mia vita,
che posso farla complicata

come il bilancio di un’azienda prospera
produttiva e utile come una trebbiatrice

di fronte a me la Stazione centrale scintilla nella notte
una fortezza protetta come in “sobieski e i romeni”
dice uno e tutto cambia
di colpo, come dopo un bagno di acido rivelatore
perché si sta male, davvero male
perché da un po’ non se ne può più
perché lo sapevo ma comunque non ho voluto crederci
perché così.

ho fumato tutte le sigarette e la mia carne è triste
anche se inconsapevole come un cavallo portato al mattatoio
                       anche se ancora giovane
un diesel in fiamme illumina il parco di fronte alla stazione
intorno a lui si affollano i bambini di strada
guardandolo come un’alta meraviglia.
I cercatori di vene contano i soldi
fatti cercando le vene
le donne e i bambini dormono stretti uno nell’altro
come piccole arachidi nel mezzo della notte.

E poi piccoli gemiti che nessuno
può fermare
e poi le storie con réclame luminose e marciapiedi
distrutti da un sorriso di donna
e poi piccoli topi sulla retina
ad aspettare la mattina e poi la notte
                           e poi la mattina e poi la notte

ma  non è niente

quando invecchierò mi libererò

e fino ad allora non è poi molto.







[quando non c’è più niente]

quando non c’è più niente
e i tram gocciolano d’alcool
così vicino così vicino
allora lascerò
il mio cuore agli avventisti delle madri
e agli studenti poveri
il mio cuore ai pacifisti con gli occhi come il sole
il mio cuore nero come un fiore di città
a quelli prossimi e alle loro famiglie
alla generazione beat ai bambini di strada ai punk del tnb
perché lo mangino
fino a farsi
come petru groza.








[la paura ci ha unito in uno solo]

la paura ci ha unito in uno solo
la paura delle talpe delle siringhe
di quelli che ci obbligano a smettere fumare
paura di lobotomia paura di paralisi
del signor contabile
di non crepare se non dopo i trent’anni
la paura terribile di quelli che ci proteggono
paura dell’uomo-uccello
paura di bob di twin peaks

paura donna con i capelli rossi con le mani rosse
                 con la barba rossa con
tacchi alti e collant di lycra
che si sfrega sulla zip dei tuoi jeans
                 che mi passa piano una mano tra i capelli
il ragno vivo morto che esce da me

la paura ci ha unito in uno solo
lungo le unghie
uovo con unghie
mirto con unghie carnose
tu vai oltre il ventre dei nostri giorni del
                    ghigno senza errore
tu sei il mosto che cola dalle caviglie della camera
e la piccola morte che batte i denti alla finestra.
 



 7 aprile

 
Mandarini e lame di rasoio

Quando oltrepassa
la
porta dell’ospedale
elenav
zoppica.
Il piccolo ventre di elena è
tagliato in due. Con una mano
si tiene
le viscere,
e nell’altra
ha una busta di
mandarini.
elenav
cammina appena un po’ curva,
come se
portasse in
spalla uno
zaino di
sabbia.
Dai polmoni di elena
sporgono pezzetti di
radici
rossastre.
Ogni donna
/ dice elenav /
porta per mano
un bimbo con il
labbro leporino
che lava
e pettina.
Il cancro
/ crede elenav /
è un bambino con il
labbro leporino e
gli occhi azzurri.

Io ho paura del
mio cervello
come elenav
ha paura del cancro.
Il mio cancro è
il mio cervello.
Questo cervello con
il labbro leporino.

Vieni che facciamo
a scambio di tumori.
Giochiamo
con i nostri tumori
nel cortile
dell’ospedale numero nove,
come giocassimo
con
mandarini o
arance.
elenav è buona
elenav mi
compatisce
e mi sbuccia
un mandarino.

Io mando giù
la dolcezza del mandarino
insieme
alla sua paura da donna,
qui,
nel cortile
dell’ospedale numero nove
dove gli uomini
gridano sempre di
paura.
È una paura metallica.
Che ti abbatte come un macellaio,
con un colpo
dritto sulla tempia lì
dove il tuo cervello
si è appena dischiuso
in bocciolo.
E allora
quel bocciolo si
allunga, avvolgendoti in spire
strette, come un
pezzo di
intestino.
Il mio cancro è
il mio cervello,
pronuncia un incantesimo, elena,
perché questo cervello
diventi
bello e rotondo come una
pallina da
ping-pong.

elenav è
bella
come un pezzo di
vetro
molto tagliente.
Lei non può
curare il
mio cervello
così come neppure io
posso guarirla dalla
dalla sua paura
da donna. Non posso
estrarle
i granelli di sabbia
dai polmoni e dal
sesso. Solo
posso
mostrarle la paura
che vibra come una
lama di rasoio
sopra berceni.
La mattina
elenav beve
un bicchiere di
soda caustica. Si
mette in testa
un grande
pezzo di
carne.
Arrotola con le
dita come su
anellini di ferro le varici
di tutte le donne tra i cinquanta e
sessant’anni. Si
trappa via il fegato e lo
sventola verso di me
con il drappo
nero degli
anarchici. Come il drappo
dell’ospedale numero nove.

Stai attenta elena.

Ho scritto di te:
“Quando
legge
le sue poesie
elenav è
feroce come
gli angeli.”


















11 aprile
alle 7 del mattino

Gli occhi delle donne che spazzano la strada
hanno il colore della speranza



Tutta la notte
gli ascensori hanno trasportato
vecchi mobili
attraverso le nostre vertebre.
Tutta la notte
le coperte ci hanno
succhiato il sangue come
vampiri sfiniti e
l’hanno vomitato sulle
pareti.
La mattina
le pareti della stanza
sono rosse,
e il nostro sudore
riga i vetri
come pioggia
ingiallita d’acido,
la nostra urina
gorgoglia nel pisciatoio
come il canto di un’armo-
nica. Adesso
gli occhi di petre sono due
pietroline
bianche e di grande
splendore.

Ce ne stiamo
uno di fronte all’altro
e accendiamo
sigarette. Con lo sguardo
seguiamo johny che raccoglie
i mozziconi dal viale.
Con lo sguardo seguiamo leu
che segue
il tè come un cavallo
da tiro.
Alle sette del mattino facciamo
la prima passeggiata
fino all’ingresso
dell’ospedale. Giriamo intorno
al chiosco di covrigi, sentiamo
il profumo dei covrigi appena fatti e
guardiamo
negli occhi le donne che
spazzano la strada.
Gli occhi delle donne che spazzano la strada
hanno il colore della speranza.
Adesso
sulla strada verso le cucine
leu
si ferma, ansima e
col pensiero esprime
un desiderio.
johny raccoglie mozziconi da
terra ed esprime
un desiderio col pensiero, poi
si mette
in piedi su
una panca
e sbatte
a lungo le
braccia, come un
uccello grigio
con il collo spennato.
mihai
canta l’internazionale a mezza voce mentre
strofina il ciglio del viale
con uno straccio sporco
ed esprime
un desiderio col pensiero.
Il primario
guarda le tomografie
come fossero cartoline
dall’australia ed esprime
un desiderio col pensiero.
Alle sette del mattino
usciamo da noi stessi
petre, come da
ventri flaccidi con il cervello 
simile a una
pietrolina splendente.
Stanotte
ti hanno rubato le sigarette,
non è così, poverino?
Guarda, il cielo
stempera in rosa le tue arterie
come nervature di foglie in
questa
luce
rosa da
sanatorio.
Esprimi anche tu
un desiderio
col pensiero.
Te l’ho detto?
La donna che amo
è
quella più alta.

Stamattina
berceni è
più lontano da noi
come non so quale paese esotico
terso e lontano
oltre il recinto dell’ospedale
come un francobollo dalla costa rica.
Le nostre mogli
fanno la spesa adesso.

Alle sette del mattino
le nostre mogli
pensano a noi petre,
come ai marinai di magellano
e
agli annegati del
titanic
mentre guardano le vetrine
fredde dei negozi.
Le nostre mogli, pazzo,
sono i nostri francobolli dalla
costa rica
aspetto che ofelia
mi porti la
tomografia
mette da parte
per me
tutte le tomografie e
con loro ci fa un bel dossier
di divorzio
guarda con disgusto
il mio cervello che vorrebbe
donare alla chiesa.

Alle sette del mattino
il mio cervello
ha il colore della speranza. Dopo
viene il professor mincu
viene leu con la latta
del tè.

arrivano /con
una preda fresca/
le ambulanze.

Si avvicina l’ora
della tomografia
e la stanza si
stringe
intorno a noi come uno
stomaco. Gli occhi di
petre assomigliano a
due grumi di capelli
sporchi.