venerdì 8 febbraio 2013

 7 aprile

 
Mandarini e lame di rasoio

Quando oltrepassa
la
porta dell’ospedale
elenav
zoppica.
Il piccolo ventre di elena è
tagliato in due. Con una mano
si tiene
le viscere,
e nell’altra
ha una busta di
mandarini.
elenav
cammina appena un po’ curva,
come se
portasse in
spalla uno
zaino di
sabbia.
Dai polmoni di elena
sporgono pezzetti di
radici
rossastre.
Ogni donna
/ dice elenav /
porta per mano
un bimbo con il
labbro leporino
che lava
e pettina.
Il cancro
/ crede elenav /
è un bambino con il
labbro leporino e
gli occhi azzurri.

Io ho paura del
mio cervello
come elenav
ha paura del cancro.
Il mio cancro è
il mio cervello.
Questo cervello con
il labbro leporino.

Vieni che facciamo
a scambio di tumori.
Giochiamo
con i nostri tumori
nel cortile
dell’ospedale numero nove,
come giocassimo
con
mandarini o
arance.
elenav è buona
elenav mi
compatisce
e mi sbuccia
un mandarino.

Io mando giù
la dolcezza del mandarino
insieme
alla sua paura da donna,
qui,
nel cortile
dell’ospedale numero nove
dove gli uomini
gridano sempre di
paura.
È una paura metallica.
Che ti abbatte come un macellaio,
con un colpo
dritto sulla tempia lì
dove il tuo cervello
si è appena dischiuso
in bocciolo.
E allora
quel bocciolo si
allunga, avvolgendoti in spire
strette, come un
pezzo di
intestino.
Il mio cancro è
il mio cervello,
pronuncia un incantesimo, elena,
perché questo cervello
diventi
bello e rotondo come una
pallina da
ping-pong.

elenav è
bella
come un pezzo di
vetro
molto tagliente.
Lei non può
curare il
mio cervello
così come neppure io
posso guarirla dalla
dalla sua paura
da donna. Non posso
estrarle
i granelli di sabbia
dai polmoni e dal
sesso. Solo
posso
mostrarle la paura
che vibra come una
lama di rasoio
sopra berceni.
La mattina
elenav beve
un bicchiere di
soda caustica. Si
mette in testa
un grande
pezzo di
carne.
Arrotola con le
dita come su
anellini di ferro le varici
di tutte le donne tra i cinquanta e
sessant’anni. Si
trappa via il fegato e lo
sventola verso di me
con il drappo
nero degli
anarchici. Come il drappo
dell’ospedale numero nove.

Stai attenta elena.

Ho scritto di te:
“Quando
legge
le sue poesie
elenav è
feroce come
gli angeli.”

















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